2015

SUBCONSCE PROIBIZIONI

volterra '73 1.5

memorie e prospezioni


L’interno del Chiarugi

"Il Chiarugi è uno dei padiglioni dell’ex ospedale psichiatrico di Volterra adibito a Istituto Minorile dal 1949. Chiuso nel 1978, in seguito alla legge n. 180, gli spazi di questo edificio furono concessi in affitto. Per anni hanno ospitato gruppi musicali, artisti, artigiani, sportivi, giovani e associazioni di vario genere, creando magici ed irripetibili momenti di condivisione e di libera espressione creativa. A causa delle volontà politiche del territorio sempre più improntate verso uno sviluppo del turismo e sempre meno interessate alla vita esperienziale, sociale, culturale e formativa dei giovani e meno giovani abitanti della città, questo spazio ormai è  fisicamente morto e abbandonato a marcire sotto gli occhi di tutti, come il resto degli edifici e della zona del vecchio ospedale psichiatrico di Volterra."


Ponte di comunicazione franato - Fiume Era

"A seguito di una piena, il ponte di collegamento che collegava le due sponde del fiume e che garantiva una via di emergenza agli abitanti dei territori della Val d’Era è stato spazzato via. Oggi, ne rimangono solo alcune macerie. Uno dei paesaggi naturalistici più belli del nostro territorio, trascurato da sempre."


Tunnel di S. Francesco

"Questo tunnel collega alcuni dei parcheggi fuori dal centro con il centro storico della città. Un canale di comunicazione per centro storico attraverso il quale sarebbe possibile, ad esempio, presentare il paese e le manifestazioni che questo ospita, semplicemente, come qualsiasi tunnel metropolitano nel mondo. Un intervento di riqualificazione più volte preso in considerazione e poi abbandonato per mancanza di fondi economici. Una operazione che potrebbe costare fra 15.000 e i 25.000€."


Il teatro Persio Flacco

"Un bellissimo teatro all’ italiana inaugurato nel 1820. L’Accademia dei Riuniti, proprietari e gestori del teatro, lo hanno più volte salvato dal pericolo di una chiusura definitiva, trovando le dovute soluzioni per realizzare la regolare stagione di prosa quasi ogni anno. Una dedizione, la loro, guidata dal motto “Vis unita fortior” inserito da Goldoni nella commedia “Il Raggiratore”. Negli ultimi anni il Persio Flacco, come tantissimi teatri in Italia, ha sofferto per la mancanza di pubblico, così come lo storico Cinema Centrale di Volterra, ha visto una gravosa riduzione di utenza. Dal 1906  no alla nascita del Cinema Centrale, il Teatro Persio Flacco ospitava anche proiezioni cinematografiche, allargando la propria programmazione e garantendo una partecipazione alle attività più vasta. Mi chiedo perché oggi, dato che questi questi spazi di aggregazione culturale e sociale sono entrambi in difficoltà, non riescano a valutare un possibile accorpamento dedito al dimezzamento delle spese ed al “Vis unita fortior”concept."

SUBCONSCE PROIBIZIONI

Questo progetto nasce all’interno della manifestazione “Volterra 73 1.5 Memorie e Prospezioni” durante l’anno 2015.

 

Una transenna costruita interamente in alabastro, collocata poi in vari contesti della città dove è stata fotografata. La transenna è stata esposta presso il centro S.S.M. della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra e le fotografie, stampate in grande formato, sono state collocate in giro per la città.

“Subconscie Proibizioni” dopo essere stata esposta presso ala Badia Camaldolese per un periodo è poi divenuta una istallazione permanete del centro S.S.M.

 

“Con il suo Subconsce Proibizioni, lavora direttamente sul concetto di limite, di barriera invisibile resa  finalmente percepibile attraverso la costruzione di una transenna, oggetto che riunisce in sé una storia di millenaria sapienza artigiana, la trasparenza e serietà di un materiale unico apparentemente resistente ma in realtà fragilissimo e la durezza, simbolicamente stabilita, dell’oggetto transenna. L’artista pone quindi il manufatto, che definisce un’impossibilità, in alcuni luoghi di signficativa importanza culturale e sociale, per realizzare in fine uno scatto fotografico che dichiari esplicitamente la presenza di tale con fine immateriale. Volterrano per nascita, Bruchi agisce quindi in spazi che conosce profondamente e di cui rammenta con chiarezza, per esperienza stessa di vita, sia le potenzialità sia le rimozioni operate da una società che sembra cieca di fronte ai suoi stessi bisogni e obbiettivi.

 

I luoghi protagonisti dell’intervento artistico di Bruchi – il Teatro Persio Flacco, la stazione di Saline, il ponte franato sul fiume Era, l’ex Ospedale Psichiatrico di Volterra e il tunnel di S. Francesco – raccontano in una continuità narrativa che è anche denuncia sociale, storie di rimozione collettiva: l’atto fotografico ferma in un istante assoluto complesse vicende dalla più o meno lunga portata storica, ricordando all’osservatore, grazie alla transenna ma anche in virtù della totale assenza di presenze umane, ciò che la memoria collettiva sembra voler dimenticare, in un atto di negazione del passato che è di per sé anche un atto di negazione della propria identità, e quindi, del proprio futuro. Si tratta di un lavoro che pone la memoria al centro della propria ricerca artistica, evidenziandone però le forti e complesse conseguenze sia nel presente sia in un futuro fortemente ipotecato e a priori proibito. Le didascalie scritte dall’artista stesso per ciascuna delle immagini qui proposte chiariscono in fine i confini culturali e sociali del discorso creativo. Il progetto di Nico Lopez Bruchi si pone quindi come una forma di dialogo provocatorio e insieme propositivo in ambito sociale: compito dell’artista è quello di mostrare, ricordare e proporre alla società ciò che quasi distrattamente ma nel contempo con intenzionalità dissimulata, cerca di dimenticare per evitare di mettere in dubbio sé stessa.

 

Arte sociale che pone le proprie fondamenta nell’effimero di un intervento limitato nel tempo ne nella  fissità apparentemente immutabile dell’istante fantasmatico, generato dallo scatto fotografico. In fine la rilevante qualità estetica delle immagini realizzate sembra quasi dichiarare una sorta di fascinazione crudele verso i molti relitti sociali che l’umanità lascia dietro di sé.”

 

Giulia Cavallo
Curatore d’Arte contemporanea e curatore del catalogo della mostra.

 

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